Malick e il suo miracolo ai lunedì del cinema di Como.
Prima di tutto va precisato che di fronte alla complessità, all’irriducibile ricchezza di The Tree of life è un compito estremamente arduo tentare di fare una critica. La frase che più esemplifica l’animo del film è stata pronunciata durante la proiezione da una spettatrice dopo la prima mezzora: "Chissà dove porteranno tutte queste immagini". Chissà dove. L’ultimo e bellissimo film di Malick è, infatti e prima di tutto, un viaggio senza un inizio e senza una fine.
L’incompiutezza di questo film è la sua assoluta libertà. La macchina da presa con occhio meraviglioso e meravigliato attraversa epoche, infrange barriere, segno che il film è una ricerca, un infinito numero di domande che costituiscono l’essenza della vita umana. Nonostante questa scelta il film una struttura ce l’ha, eccome: è la storia interiore di un uomo, Jack O’Brien, attraverso il ricordo della sua famiglia negli anni '50; dei conflitti (tra madre e padre) e dei traumi (l’incontro con la morte e la morte stessa del fratello del protagonista) e della felice semplicità di quei giorni. Disperso e addolorato nel mondo d’oggi, a causa del contrasto interiore mosso dall’ambizione di grandezza del padre e dall’amore incondizionato della madre, il protagonista insegue se stesso in uno spazio desolato per approdare, infine, in una sorta di Eden. Una morte ideale dell’anima dove può riappacificarsi con i fantasmi interiori. Riconsegnato alla via dell’amore, Jack può uscire dallo spazio moralmente labirintico e vertiginoso in cui si era stabilizzata la sua vita.
Malick dà senso alle questioni esistenziali mosse dai protagonisti rompendo definitivamente i rapporti con le convenzioni narrative che tutti noi conosciamo. Da una famiglia texana della middle class, alla creazione del mondo, in mezzo ai dinosauri, nello spazio, tra i pianeti, The tree of life è un film tridimensionale dove ciò che si vede coincide con ciò che si prova. L'immagine, in questo senso, non è lo spazio dove si svolge un’azione che messa insieme a un altra crea una narrazione fluida. È, invece, lo spazio di una sensazione che viene sommata ad un’altra e un’altra ancora in una continua ricerca interiore affrontata da diversi punti di vista, toccando con mano livelli universali. L'azione stessa non è concepita in maniera lineare: ciò che conta è il modo in cui è vissuta, il senso che lascia e il suo significato intrinseco. Essa è epicamente sussurrata, guardata in una maniera nuova, innocente, senza alcuna scientificità o logica. In questo il film si muove in senso opposto a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick (al quale è stato spesso abbinato). Proprio in Kubrick il controllo e il rigore geometrico si sostituiscono al continuo dare forma e dimensione di Malick. Opera di conflitti. Opera di metamorfosi e divenire, ma soprattutto opera sinfonica di struggente bellezza e incontrollabile profondità. Qualcosa di unico, mai pensato e azzardato prima.
Iniziare con The Tree of life di Malick, penserete, è strano. Perchè scrivere come prima recensione quella di un film uscito mesi fa, quando proprio ora, nelle sale, ci sono nuove uscite come Carnage di Polansky e Super 8 di Abrams? Semplicemente perché avevamo voglia di rompere un po’ le convenzioni, evitando di seguire per forza la novità del momento e inserire qualcosa che rimanesse impresso e di cui consigliamo fortemente la visione. Questo film, che ha aperto la rassegna de "I lunedì del cinema" al Gloria di Como, è in grado di mostrare come liberarsi dai limiti del linguaggio audiovisivo per perdersi nel miracolo della vita con suoni, immagini suggestive e potenti emozioni.
A.C.
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