È un freddo sabato pomeriggio ed io suono alla porta di Gin Angri, noto fotografo comasco per intervistarlo. Mi si presenta un uomo sorridente, affabile e molto disponibile a raccontare la sua esperienza.
Ex insegnante di educazione fisica con la passione per la fotografia, dopo aver collaborato con lo studio Nodo, con cui pubblica “Como, guida alla storia, all’arte, all’attualità”, si trasferisce in Mozambico alla fine dell’82 con l’idea di rimanere lì per soli due anni a portare il suo aiuto, seguendo gli ideali di internazionalismo e solidarietà sull’onda lunga del sessantotto. Qui apre una scuola di fotografia tutt’ora attiva e lavora all’Istituto di comunicazione sociale di Maputo, utilizzando la fotografia come mezzo d’informazione per la popolazione analfabeta. Finirà invece per rimanere per dieci anni su quel territorio indipendente da poco tempo, in cui operano volontari provenienti da tutto il mondo.
Tornato dal Mozambico, si inserisce nella realtà italiana, da cui è stato per lungo tempo distante, occupandosi di fotografia di attualità, soprattutto politica.
Di questo periodo mi mostra, infatti, le immagini di Di Pietro al processo conclusivo della sua carriera da magistrato, di Craxi al suo ultimo comizio in Piazza Duomo a Milano e molte altre foto degli anni della stagione di Mani Pulite.
Gin, pur avendo immortalato anche soggetti più commerciali, preferisce documentare realtà difficili, spesso anche senza profitto, ma solo per passione. Infatti, entra in contatto con il mondo del carcere, dell’anoressia, della Casa dei risvegli di Bologna, di cui mi mostra l’esperienza di teatroterapia con i pazienti, o con il manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere, del quale ci presenta gli scatti dell’atelier di pitturadi Silvana Crescini.
Osserva la realtà comasca nelle sue mille sfaccettature: collabora infatti con Van De Sfroos per due cd ( E sem partì e La poma) e un libro, ma si occupa anche di conservare la memoria della città, attraverso la sua fotografia, che congela il momento e lo rende vivo e impossibile da dimenticare, nonostante le trasformazioni del tempo.
Molto belle sono le immagini della Ticosa, scattate in diversi momenti, quando era una fabbrica in funzione, nel periodo dell’abbandono, e poi nel momento della distruzione, con tutti i volti di coloro che l’hanno vissuta.
Gin compie la stessa operazione sul carcere di San Donnino, chiuso nell’85 e sostituito dal penitenziario del Bassone. Le fotografie scattate sono la testimonianza dell’abbandono del luogo, rimasto intatto e immobile come se il tempo non fosse trascorso.
Un’attenzione particolare è rivolta alla memoria del manicomio di San Martino, che racchiude tra le sue mura i ricordi ancora pulsanti delle persone passate di lì. Nel 98-99, anno della dismissione del manicomio, Gin tiene un laboratorio con scopo terapeutico: un gruppo di degenti dell’ospedale è invitato a scattare fotografie con macchine usa e getta per esprimere il disagio in modo artistico.
Con la collaborazione del poeta Marco Fogliaresi pubblica il libro “Le stagioni di San Martino”, documento fondamentale della storia della psichiatria nella nostra città.
Oggi Gin autoproduce i suoi servizi fotografici, è il direttore responsabile del il periodico “Oltre il giardino”, dell'associazione "Nessuno è perfetto" (del dipartimento Salute Mentale di Como) e ha curato un progetto di ricerca sul tessile a Como, guidando alcuni ragazzi dell’Istituto Paolo Carcano in una ricerca fotografica sul tessile, i cui risultati usciranno prossimamente nel libro “Area tessile reportage”.
A Como non c’è molto spazio per i giovani talenti della fotografia di questi tempi! L’incontro con Gin Angri ci insegna però a non arrenderci, a seguire le nostre passioni guardando la realtà in modo non superficiale, ma critico alla ricerca della bellezza e dell’umanità anche nelle situazioni più estreme.
F.T.
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