“Ma dalla voce
pubblica l’Arena è indicato come capo mafia”.
“La voce pubblica…Ma
che cos’è la voce pubblica? Una voce nell’aria, una voce dell’aria: e porta la
calunnia, la diffamazione, la vendetta vile… E poi: che cos’è la mafia?... Una
voce anche la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa… Voce,
voce che vaga: e rintrona le teste deboli, lasciatemelo dire…”
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)
È improbabile che un dialogo
simile avvenga al giorno d’oggi: nessuno più, infatti, nega l’esistenza della
mafia. Ma qualcuno ancora si ostina a credere che l’Italia del Nord sia una
zona immacolata e integra, risparmiata da questo fenomeno (si dice) tipicamente
meridionale.
Smentire questa convinzione è il
compito primario a cui Giuseppe Gennari si dedica ormai da sei anni, sia attraverso
il suo operato come giudice del Tribunale di Milano, sia in quanto cittadino
chiamato nelle scuole e nei centri culturali a testimoniare la sua esperienza
di magistrato in lotta contro la criminalità organizzata presente in Lombardia.
Venerdì 1 marzo Gennari era a Como, presso la libreria Feltrinelli, per
presentare Le fondamenta della città,
un libro pieno di storie e di racconti di imprenditori coinvolti in attività illegali,
complici consapevoli e allo stesso tempo vittime di violenza e pressioni
psicologiche: personaggi e situazioni diverse, perfette per descrivere la
gravità della situazione.
L’autore si rivolge al pubblico
comasco in modo chiaro e soprattutto onesto, rivelando scomode verità: “Non si
può più parlare di infiltrazione mafiosa al Nord, bensì di vero e proprio
radicamento”. Da un punto di vista storico, infatti, le famiglie della
‘Ndrangheta e della Camorra hanno iniziato a rivolgere i propri interessi nel
settentrione fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Dopo le prime indagini
giudiziarie, però, l’attenzione della procura nazionale si è concentrata sugli
scandali di Tangentopoli e di Mani Pulite (1992-1993), permettendo ai clan
mafiosi di agire liberamente nell’ombra e di proliferare per oltre un decennio.
“ Intorno alla metà degli anni 2000, quando sono emerse nuove inchieste
significative – conclude Gennari - non
si è trattato dunque di una rivelazione, ma di una riscoperta”. Da tali indagini
si delinea il quadro di una fitta rete che
si estende in tutto l’hinterland milanese, una ragnatela di criminalità i cui
fili sono tessuti dalla collaborazione di politici, imprenditori,
professionisti, direttori di banca con le cosche calabresi e campane.
‘Ndrangheta e Camorra hanno
assunto un controllo capillare sulla Lombardia, la quale è stata terreno
fertile per la loro espansione da una parte grazie alla sua grande
disponibilità di soldi, lavoro e industrie, dall’altra a causa della bassissima
resistenza incontrata. A tal proposito il giudice spiega: “ Alla nostra regione
mancano gli anticorpi per difendersi dall’infezione malavitosa. Nel Sud,
invece, dove la mafia ha una sua cultura radicata da secoli, i cittadini
comprendono e sanno come comportarsi. In
Lombardia non esiste la capacità di decodificare questo linguaggio”. L’inganno
in cui cadono i nostri imprenditori si ripete spesso con le stesse dinamiche:
la criminalità organizzata offre servizi illegali (quegli stessi servizi che lo
stato dovrebbe garantire), l’industriale accetta lo scambio (sottovalutando la
forza e la minaccia delle cosche) e in un primo momento se ne dichiara
soddisfatto dal momento che il lavoro è
svolto in maniera efficiente e puntuale. Allo stesso tempo, però, non si
accorge di perdere lentamente il controllo della propria azienda e di essere
destinato ad indebitarsi fino al fallimento. L’inganno
diventa così una trappola di corruzione e connivenza, senza via d’uscita, un
vortice in cui non è più possibile distinguere la vittima dal carceriere, la
ragione dalla violenza, il mafioso dal complice imbroglione.
Il settore più interessato dal
fenomeno è quello edilizio. La ‘Ndrangheta , infatti, controlla quasi tutti i
cantieri in Lombardia, gestendo il traffico dei camion che trasportano materiale
inquinante e di scarico. Le conseguenze di questo trasporto illecito hanno un impatto
fortemente negativo per l’ambiente. “Il
problema – afferma Gennari – è enorme e trascurato. Sono reati molto
complicati, difficili da perseguire perché richiedono indagini lunghe e
approfondite.” E dove crescono gli ostacoli per la magistratura, si riducono i
rischi per la mafia calabrese. Una mafia che quindi ha abbandonato il
tradizionale dominio sul mercato degli stupefacenti per affari altrettanto
redditizi ma più sicuri, una ‘Ndrangheta in trasformazione, in evoluzione,
sempre più inarrestabile.
Bancarotta, evasione fiscale,
violazioni ambientali, appalti, intestazioni fittizie di società, infiltrazioni
in politica. Il radicamento della criminalità organizzata nell’Italia del Nord
non è un problema di singoli, ma di tutti. E di fronte a una simile realtà la
società civile può reagire in un solo modo: informandosi e conoscendo. Negare
il fenomeno non aiuta a risolverlo.
G.C.
G.C.
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