venerdì 8 marzo 2013

La mafia è anche cosa nostra



“Ma dalla voce pubblica l’Arena è indicato come capo mafia”.
“La voce pubblica…Ma che cos’è la voce pubblica? Una voce nell’aria, una voce dell’aria: e porta la calunnia, la diffamazione, la vendetta vile… E poi: che cos’è la mafia?... Una voce anche la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa… Voce, voce che vaga: e rintrona le teste deboli, lasciatemelo dire…”
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)

È improbabile che un dialogo simile avvenga al giorno d’oggi: nessuno più, infatti, nega l’esistenza della mafia. Ma qualcuno ancora si ostina a credere che l’Italia del Nord sia una zona immacolata e integra, risparmiata da questo fenomeno (si dice) tipicamente meridionale.
Smentire questa convinzione è il compito primario a cui Giuseppe Gennari si dedica ormai da sei anni, sia attraverso il suo operato come giudice del Tribunale di Milano, sia in quanto cittadino chiamato nelle scuole e nei centri culturali a testimoniare la sua esperienza di magistrato in lotta contro la criminalità organizzata presente in Lombardia. Venerdì 1 marzo Gennari era a Como, presso la libreria Feltrinelli, per presentare Le fondamenta della città, un libro pieno di storie e di racconti di imprenditori coinvolti in attività illegali, complici consapevoli e allo stesso tempo vittime di violenza e pressioni psicologiche: personaggi e situazioni diverse, perfette per descrivere la gravità della situazione.

L’autore si rivolge al pubblico comasco in modo chiaro e soprattutto onesto, rivelando scomode verità: “Non si può più parlare di infiltrazione mafiosa al Nord, bensì di vero e proprio radicamento”. Da un punto di vista storico, infatti, le famiglie della ‘Ndrangheta e della Camorra hanno iniziato a rivolgere i propri interessi nel settentrione fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Dopo le prime indagini giudiziarie, però, l’attenzione della procura nazionale si è concentrata sugli scandali di Tangentopoli e di Mani Pulite (1992-1993), permettendo ai clan mafiosi di agire liberamente nell’ombra e di proliferare per oltre un decennio. “ Intorno alla metà degli anni 2000, quando sono emerse nuove inchieste significative – conclude Gennari -  non si è trattato dunque di una rivelazione, ma di una riscoperta”. Da tali indagini si delinea  il quadro di una fitta rete che si estende in tutto l’hinterland milanese, una ragnatela di criminalità i cui fili sono tessuti dalla collaborazione di politici, imprenditori, professionisti, direttori di banca con le cosche calabresi e campane.
‘Ndrangheta e Camorra hanno assunto un controllo capillare sulla Lombardia, la quale è stata terreno fertile per la loro espansione da una parte grazie alla sua grande disponibilità di soldi, lavoro e industrie, dall’altra a causa della bassissima resistenza incontrata. A tal proposito il giudice spiega: “ Alla nostra regione mancano gli anticorpi per difendersi dall’infezione malavitosa. Nel Sud, invece, dove la mafia ha una sua cultura radicata da secoli, i cittadini comprendono  e sanno come comportarsi. In Lombardia non esiste la capacità di decodificare questo linguaggio”. L’inganno in cui cadono i nostri imprenditori si ripete spesso con le stesse dinamiche: la criminalità organizzata offre servizi illegali (quegli stessi servizi che lo stato dovrebbe garantire), l’industriale accetta lo scambio (sottovalutando la forza e la minaccia delle cosche) e in un primo momento se ne dichiara soddisfatto  dal momento che il lavoro è svolto in maniera efficiente e puntuale. Allo stesso tempo, però, non si accorge di perdere lentamente il controllo della propria azienda e di essere destinato ad indebitarsi fino al fallimento. L’inganno diventa così una trappola di corruzione e connivenza, senza via d’uscita, un vortice in cui non è più possibile distinguere la vittima dal carceriere, la ragione dalla violenza, il mafioso dal complice imbroglione.
Il settore più interessato dal fenomeno è quello edilizio. La ‘Ndrangheta , infatti, controlla quasi tutti i cantieri in Lombardia, gestendo il traffico dei camion che trasportano materiale inquinante e di scarico. Le conseguenze di questo trasporto illecito hanno un impatto fortemente negativo per  l’ambiente. “Il problema – afferma Gennari – è enorme e trascurato. Sono reati molto complicati, difficili da perseguire perché richiedono indagini lunghe e approfondite.” E dove crescono gli ostacoli per la magistratura, si riducono i rischi per la mafia calabrese. Una mafia che quindi ha abbandonato il tradizionale dominio sul mercato degli stupefacenti per affari altrettanto redditizi ma più sicuri, una ‘Ndrangheta in trasformazione, in evoluzione, sempre più inarrestabile.
Bancarotta, evasione fiscale, violazioni ambientali, appalti, intestazioni fittizie di società, infiltrazioni in politica. Il radicamento della criminalità organizzata nell’Italia del Nord non è un problema di singoli, ma di tutti. E di fronte a una simile realtà la società civile può reagire in un solo modo: informandosi e conoscendo. Negare il fenomeno non aiuta a risolverlo.

G.C.

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