martedì 15 novembre 2011

Pina: il futuro è nel 3d?


Andare a vedere Pina è stata una sfida, nei confronti di un regista ( Wim Wenders) che definisce il 3d come “ la più grande invenzione del  cinema sonoro”. Ebbene, Pina è veramente un film innovativo da questo punto di vista. Wenders  filma un omaggio alla defunta ballerina Pina Bausch,  riprendendo le sue stesse coreografie eseguite dalla sua compagnia di danza.  

Il 3d rende divinamente l’idea della teatro-danza, ovvero l’idea di qualcosa di tangibile e di fisico ma che ha sulle sue spalle un universo concettuale complesso, ermetico. Si crea una sorta di vincolo inscindibile tra lo schermo e la sala quando vediamo i ballerini esibirsi di fronte al pubblico di un teatro. Quel pubblico che letteralmente sbuca dallo schermo, grazie al sistema tridimensionale, sembra davvero il prolungamento della sala cinematografica all’interno del film.  Filmare la Teatro- danza, offrendo le dimensioni e la profondità dello spazio reale tra i suoi protagonisti  è qualcosa di unico: in questo modo, ciò che vediamo  ci appare più vicino, come se si svolgesse al momento stesso della rappresentazione. Di contrasto a questa sensazione giocano i  luoghi delle coreografie che  si alternano tra interni e esterni durante la narrazione.                                                                         
Senza il 3d, questo film non riuscirebbe a comunicare l’istante, la “vita” stessa, del movimento della danza. Ed è un peccato non poterlo vedere a Como, perché, dopo Avatar (e forse anche meglio), è uno dei pochi film che usa la tridimensionalità come mezzo espressivo, reinventando il modo di fare e concepire il cinema. Insomma, tramite l’incontro con questo film, capiamo che il 3d non è solamente un artifizio, uno dei trucchi del cinema, ma un nuovo modo per ricreare lo spazio, il tempo e, soprattutto, l’uomo.
Agli interrogativi che pone Wenders dicendo che “il 3d è il futuro” preferiamo lasciare rispondere voi. Noi ci limitiamo ad ammettere che questo film è in grado di raccogliere la sfida di questa ambizione, proprio perché fa una cosa, che ogni film, da linguaggio, dovrebbe fare: usare le proprie immagini e la propria punteggiatura al servizio di ciò che si racconta.
A.C.

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