martedì 29 novembre 2011

Un tè con i clochard


Si muore di freddo fuori. Dentro, alla mensa dei poveri di via Tatti, cominciano ad arrivare i primi volontari, mentre qualcuno si incarica di distribuire i numeri ai barboni all’esterno.

Piano piano la mensa si riempie, la fila si fa sempre più lunga e i tavoli e le sedie,che prima erano totalmente vuoti, vengono occupati da senzatetto con il loro pasto. Mi sono accorto di una cosa osservandoli: ogni volto che ho davanti è profondamente diverso. Ogni tratto ha qualcosa da raccontare di unico, di estremamente personale. C’è chi siede nell’angolo, silenzioso con un’espressione rabbiosa e dolente. C’è chi ride e scherza ad alta voce e chiama gli amici per farsi raggiungere al tavolo. Chi urla, chi si lamenta. Chi ringrazia, parlando a bassa voce. La maggior parte sa parlare pochissimo italiano. “Generalmente niente fila liscio” mi dice un ragazzo. A volte bisogna dividerli perché, irascibili e ubriachi, è facile che si scateni una rissa. Entrare nella mensa dei poveri è un continuo confronto col diverso. Questi volti con la loro storia e la loro sofferenza assumono dei tratti che raccontano vite difficili, lontane dalla nostra quotidianità. Più di cento clochard domenica sera: il numero è sempre quello. In programma è presente il cosiddetto “giro tè”, che si svolge una volta al mese, in cui due gruppi di volontari si dividono tra il centro di Como e la periferia a distribuire tè, dolci e coperte. Scelgo di seguire il secondo percorso, che copre zone come la stazione centrale, la ticosa e la Rasa di Camerlata. Quest’ultima è composta da un gruppo di cantieri abbandonati che fanno da tetto a chi un tetto proprio non ce l’ha. Quando entriamo sento che si fa strada in me un senso di inquietudine, se non addirittura di paura. Non avevo mai immaginato queste zone abbandonate di notte. Le fabbriche, vecchie e ricoperte di graffiti, sono uno spicchio di mondo freddo e inospitale. Bussiamo ad alcuni degli enormi portoni e ci rispondono voci infastidite e allarmate. Noi, comunicando loro il nostro scopo, riusciamo a rassicurarli.I senzatetto, per la maggior parte tunisini,curvi e tremanti per il freddo scambiano parole con un volontario. Capisco allora che dietro i muri di quei cantieri così bui e dietro alle risposte così allarmate c’è una disperazione indescrivibile. Ma, nonostante le condizioni precarie in cui si trovano, speranza e determinazione non mancano. A dimostrarlo è il modo acceso in cui discutono, la gentilezza e la vivacità con cui scherzano. Mentre ci lasciamo alle spalle i cantieri per continuare il giro, ripenso a una di quelle persone: aveva con sé la foto della figlia. La piccola è nata poco dopo la sua partenza e lui non ha potuto nemmeno tenerla tra le braccia. Dall'altra parte della strada le luci illuminano lo scorrere di vite indifferenti a questo disagio.

Ecco come vanno le cose nella Como del 2011.






A.C.

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