Il video dell'intervento di Nando Dalla Chiesa a "L'isola che c'è"
«La mafia si è presa delle belle legnate, questi trent’anni
non sono stati inutili». Così Nando Dalla Chiesa ha concluso il suo intervento al
dibattito organizzato ieri a “L’isola che c’è”, la fiera delle economie e delle relazioni
solidali di Villa Guardia. Un pensiero positivo, con cui il professore della
Statale di Milano, figlio del generale Carlo Alberto, ha voluto chiudere un
discorso dominato dal risentimento e dalla vena polemica. Obiettivo della sua
invettiva è stato un certo modo di ricostruire l’omicidio del padre, avvenuto
30 anni fa.
Appena arrivato a Palermo nella veste di prefetto della città, il generale fu «minacciato con dichiarazioni di ostilità, ci fu una cultura che si schierò contro di lui». Cosa nostra rivelò l’intenzione di uccidere Dalla Chiesa con l’annuncio della “operazione Carlo Alberto”. E la sentenza venne puntualmente eseguita il 3 settembre 1982, con l’agguato di via Carini. «Fu il funerale più veloce della storia» ricorda il professore. «Mio padre, anche da morto, doveva essere fisicamente allontanato da Palermo».
Ma quello che, a distanza di tanti anni, fa ancora
infervorare Nando Della Chiesa è il modo con cui è stata insabbiata la vera
natura dell’omicidio del padre. La narrazione storica e giornalistica si è
concentrata sulla ricerca di segreti e di complotti, mentre la realtà era «semplice,
evidente, davanti agli occhi di tutti». Tutto questo ha colpevolmente distolto
l’attenzione dal reale responsabile, la mafia: «La storia di quell’assassinio è
diventata la storia delle carte di Moro, della P2. Quella storia l’hanno rimossa,
l’hanno fatta sparire. Ma ora basta».
Nella seconda parte del suo intervento, il professore ha
invitato a diffidare di chi sostiene che cosa nostra oggi sia più forte di
allora: «Quando Giulio Andreotti, l’uomo politico più potente di Italia, nel
1980 andò a chiedere conto dell’omicidio Mattarella ai mafiosi, questi lo
trattarono a pesci in faccia». Secondo Dalla Chiesa, non è mai esistito un “terzo
livello”, quella mano misteriosa che avrebbe manovrato dall’alto i fili di cosa
nostra: «Sopra la mafia non c’era nessuno».
Quasi a volere concedere un barlume di ottimismo in un
quadro così cupo, il professore ha così ricordato le “belle legnate” che si
sono prese le cosche in questi ultimi 30 anni. E si è congedato dal pubblico de
“L’isola che c’è”, salutato dal prolungato e caloroso applauso che meritava.
S.D.
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