Sì, sì, è proprio vicino a Como che la scorsa domenica si è tenuto l'incontro con Salvatore Borsellino. No, non la stessa Como che un anno prima ha invitato Marcello Dell'Utri a tenere una conferenza sui diari di Mussolini, bensì quella Como che - come dice il nome del progetto- guarda Oltre allo sguardo, quella Como che ha contestato l'adulatore di Mangano, quella Como che quella sera non ha voluto ascoltare solo la storia di Paolo, ma anche quella del suo sogno, quel sogno per cui valeva la pena di vivere, lo stesso per cui valeva la pena di ucciderlo.
Tra le parole di Salvatore si legge la tristezza per la morte del fratello, ma quello che più spesso emerge è il rimorso di aver abbandonato la terra che amava per colpa di una mafia che purtroppo oggi - non me ne vogliano Letizia Moratti e Vittorio Sgarbi! - è anche al nord.
Parla commosso della sua bella terra violata e massacrata dal peso della corruzione e poi, abbassando il tono di voce e ripensando a quelle parole di rimprovero del fratello che ancora rimbombano dentro la sua testa, racconta di quanto Paolo fosse diverso da lui, di come fosse legato a Falcone e di come avesse deciso di salvare la sua cara Palermo.
Poi, dopo un lungo sospiro che soffoca un lontano pianto, alza di nuovo lo sguardo e chiede al pubblico con una vena polemica : "Ma voi sapete cosa succede quando un tumore viene trascurato!? Ecco, questa è stata ed è la mafia, un cancro che doveva essere affrontato come una lotta corale e invece è stato delegato", così come delegate sono state le indagini e la protezione di Paolo. Tanti sono i misteri che si nascondono dietro a quella morte così scontata eppure inaspettata, quella morte che lo stesso Riina avrebbe voluto rimandare di qualche mese, la stessa che si è portata via molto di più di un giudice e la sua scorta, spegnendo le speranze e nascondendo le verità di un'Italia tanto bella quanto corrotta.
Già, come può lo Stato scendere a compromessi con l'antistato? Come è possibile che un giudice tanto corretto sia stato lasciato solo!? Come ha potuto lo Stato preferire un'illegale trattativa alla vita di persone che lottavano per la giustizia!? Come!? Con quale coraggio!?
“Siamo l'Italia dei valori" mi verrebbe da dire, ma lasciamo perdere, una vera risposta non c'è, o forse non l'hanno ancora trovata, perché, in effetti, la verità si nasconde dietro quegli insopportabili silenzi di Stato che spesso si celano dietro ai visi corrotti dei nostri politici italiani.
Poi, accanendosi ancora di più contro quella società che non è mai intervenuta davvero, Salvatore Borsellino ricorda il funerale di Stato della scorta, quella solenne cerimonia tenutasi nella Cattedrale di Palermo, dove la famiglia del giudice si era rifiutata di dare l'ultimo saluto al suo caro. Parla di indignazione per la farsa che si celava dietro a quel lutto di Stato, di vergogna e soprattutto di ipocrisia per la presenza di quelle stesse persone che ancora oggi non si vogliono ricordare delle conversazioni e dei progetti di Paolo.
In seguito Salvatore, con un filo di voce, racconta della strage, di come suo fratello saltò in aria per un carico di sintex, del braccio trovato su un balcone nella casa vicino e della disperazione della madre che non volle vedere tra le macerie il corpo di suo figlio; poi con una voce tremante e lo sguardo rassegnato narra anche di come lui venne a sapere di quella fine tanto atroce e di come la figlia Lucia abbia raccolto le parti del padre e le abbia infilate per l'ultima volta in un bel vestito nero.
Infine, dopo aver girato e rigirato tra le mani quell'agenda rossa che conteneva gli appunti, gli scarabocchi ma anche i progetti e la determinazione di Paolo, Salvatore finalmente la apre e a gran voce recita la frase che il fratello scrisse all'alba di quel tragico 19 luglio: "La mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata e io non ho più tempo".
A quel punto con il cuore in mano e la stessa determinazione che si leggeva negli occhi coraggiosi di Paolo, si rivolge al pubblico e dice "Non chiedetemi cosa potete fare voi perchè allora vuol dire che non potete fare più nulla" e dopo un altro lungo respiro, riprende citando il fratello: "Sono ottimista perchè vedo che verso la mafia i giovani, siciliani e no, hanno oggi un'attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni fino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo mai avuta". Poi conclude la serata sventolando quell'agenda rossa, simbolo di una lotta che ora dobbiamo continuare con le nostre gambe, una lotta che dobbiamo combattere perchè quest'Italia possa guarire da quelle grandi malattie che sono la corruzione e l'indifferenza.
G.P.
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